Introduzione
(1) Dopo aver espresso la nostra concezione del mistero della Chiesa, come comunione di fede e di sacramenti, manifestata, in modo eminente, nella celebrazione eucaristica, la nostra Commissione affronta ora la questione capitale del posto e del ruolo del ministero ordinato nella struttura sacramentale della Chiesa. Tratteremo dunque del sacramento dell'ordine e anche dell'ordinazione a ciascuno dei tre livelli: episcopato, presbiterato e diaconato. Ci fondiamo sulla certezza che nelle nostre Chiese la successione apostolica è fondamentale per la santificazione e l'unità del popolo di Dio.
(2) Le nostre Chiese affermano che il ministero attualizza nella Chiesa il ministero stesso di Cristo. Negli scritti del Nuovo Testamento Cristo è apostolo, profeta, pastore, servo, diacono, dottore, sacerdote, vescovo. La nostra comune tradizione riconosce lo stretto legame che esiste tra l'opera di Cristo e quella dello Spirito santo.
(3) Questa visione dell'economia di salvezza non permette di considerare Cristo separato dallo Spirito. L'attuale presenza di Cristo nella Chiesa è anche di natura escatologica, poiché lo Spirito costituisce l'anticipazione della perfetta realizzazione del disegno di Dio sul mondo.
(4) In questa prospettiva la Chiesa appare come la comunità della nuova alleanza che il Cristo raccoglie attorno a sé ed edifica come suo corpo per mezzo dello Spirito. Tramite la Chiesa, Cristo è presente nella storia e per suo mezzo realizza la salvezza del mondo.
(5) Poiché Cristo è presente nella Chiesa, in essa compie il suo ministero. Quindi, il ministero della Chiesa non sostituisce quello di Cristo. Trova in lui la sua sorgente. Poiché lo Spirito, mandato dal Cristo, vivifica la Chiesa, il ministero non porta frutti se non per la grazia dello Spirito. Infatti, lo Spirito riunisce una moltitudine di funzioni esercitate dai membri della comunità, secondo la diversità dei Boni che essi ricevono in qualità di membri del corpo di Cristo. Tramite l'ordinazione, alcuni di loro ricevono ed esercitano la funzione specifica dell'episcopato, del presbiterato, del diaconato.
I. Cristo e lo spirito santo
(6) Lo Spirito che dall'eternità procede dal Padre e riposa sul Figlio ha preparato 1'avvento di Cristo e lo ha realizzato. L'incarnazione del Figlio di Dio, la sua morte e risurrezione sono state realizzate, infatti, secondo la volontà del Padre, nello Spirito santo. Nel battesimo, per mezzo della manifestazione dello Spirito, il Padre inaugura la missione del Figlio. Lo Spirito è presente nel suo ministero: annuncio della buona novella della salvezza, manifestazione della venuta del Regno, testimonianza del Padre. È pure nel medesimo Spirito che Cristo, quale unico sacerdote della nuova alleanza, offre il sacrificio della propria vita; ed è dallo Spirito che egli e glorificato.
(7) Nella Chiesa, che è il corpo di Cristo, a partire dalla pentecoste, coloro che sono incaricati del ministero, possono compiere gli atti che portano il corpo alla sua piena statura, solamente nello Spirito. Nel ministero di Cristo come in quello della Chiesa, è l'unico e identico Spirito che opera e agisce con noi, tutti i giorni della nostra vita.
(8) Nella Chiesa, il ministero deve essere vissuto nella santità, in vista della santificazione del popolo di Dio. Affinché la Chiesa intera, e in particolare i ministri ordinati, possano contribuire a "mettere i santi nella condizione di compiere il ministero per costruire il corpo di Cristo", i diversi servizi sono resi possibili da molteplici carismi (Ef 4,11-12; 1Cor 12,4-28; Rm 12,4-8).
(9) È questa la novità del ministero della Chiesa: per mezzo dello Spirito, Cristo, servo di Dio per l'umanità, è presente nella Chiesa, suo corpo, dal quale non puh essere separato. Infatti, egli è "il primo di una moltitudine di fratelli". L'opera di Cristo nella storia, dalla pentecoste alla parusia, va compresa in questa concezione sacramentale. Il ministero della Chiesa in quanto tale è sacramentale.
(10) Per questo motivo, anche la presenza di Cristo nella Chiesa è escatologica. Infatti, ovunque lo Spirito agisce, rivela al mondo la presenza del Regno nella creazione. In ciò si radica il ministero ecclesiale.
(11) Questo ministero ecclesiale è di natura sacramentale. Con la parola sacramentale si vuole qui sottolineare che ogni ministero è legato alla realtà escatologica del Regno. La grazia dello Spirito santo, quale anticipazione del mondo futuro, sorge dalla morte e risurrezione di Cristo ed è offerta, in modo sacramentale, per mezzo di realtà sensibili. Sacramentale vuole pure indicare che il ministro è un membro della comunità, investito di funzioni e poteri specifici dallo Spirito per riunirla e per presiedere, in nome di Cristo, alle azioni nelle quali essa celebra i misteri della salvezza. Questa visione della sacramentalità del ministero si radica nel fatto che Cristo è reso presente nella Chiesa dallo Spirito, che da lui stesso è stato inviato alla Chiesa.
(12) La natura del ministero ecclesiale si manifesta, inoltre, nel fatto che tutti i ministeri hanno lo scopo di servire il mondo per condurlo al suo vero fine, il regno di Dio. È strutturando la comunità escatologica come corpo di Cristo che il ministero della Chiesa risponde ai bisogni del mondo.
(13) La comunità, riunita nello Spirito attorno a Cristo che esercita il suo ministero, ha il suo fondamento in Cristo, pietra angolare, e nella comunità dei Dodici. Il carattere apostolico delle Chiese e del loro ministero si comprende in questa luce.
(14) Da un lato, i Dodici sono i testimoni della vita storica di Gesù, del suo ministero e della sua risurrezione. Dall'altro, in quanto associati a Cristo glorificato, uniscono ogni comunità alla comunità degli ultimi tempi. Il ministero ecclesiale sarà, dunque, chiamato apostolico perché si esercita nella continuità e nella fedeltà a quello donato da Cristo e trasmesso, nella storia, dagli apostoli. Ma sarà apostolico anche in quanto l'assemblea eucaristica presieduta dal ministro è un'anticipazione della comunità finale con Cristo. Per questa duplice relazione, il ministero della Chiesa rimane costantemente unito a quello dei Dodici e, per mezzo loro, a quello di Cristo.
II. Il sacerdozio nell'economia della salvezza
(15) Tutta l'economia divina culmina nell'incarnazione del Figlio, nel suo insegnamento, la sua passione, la sua gloriosa risurrezione, la sua ascensione e la sua seconda parusia. Cristo agisce nello Spirito santo. Viene così stabilita, una volta per tutte, la restaurazione della comunione dell'uomo con Dio.
(16) Secondo la Lettera agli Ebrei, Cristo, con la sua morte, è diventato l'unico mediatore della nuova alleanza (Eb 9,15), ed essendo entrato una volta per tutte nel santuario con il proprio sangue (Eb 9,12), nei cieli, egli è l'unico, grande ed eterno sacerdote della nuova alleanza "per comparire al cospetto di Dio in nostro favore" (Eb 9,24), per presentare il suo sacrificio (Eb 10,12).
(17) Presente in maniera non visibile nella Chiesa, tramite lo Spirito santo da lui mandato, Cristo ne è, dunque, l'unico grande sacerdote. In lui, sacerdote e vittima, tutti insieme, pastori e fedeli, formano "una stirpe eletta, un regno, un sacerdozio, una nazione santa, un popolo acquisito" (1Pt 2,9; cfr. Ap 5,10).
(18) Tutti i membri della Chiesa, in quanto membri del corpo di Cristo, partecipano al suo sacerdozio, chiamati a diventare "vittima vivente e santa, offerta a Dio" (Rm 12,1; cfr. 1Pt 2,5). Capo della Chiesa, Cristo ha costituito, per rappresentarlo, gli apostoli, scelti tra il popolo, e da lui muniti di autorità o di potere, fortificati dalla grazia dello Spirito santo. I vescovi, i sacerdoti, i diaconi che li assistono continuano nella Chiesa l'opera e la missione degli apostoli. Con l'ordinazione, i vescovi sono costituiti successori degli apostoli e guidano il popolo di Dio sulle vie della salvezza.
(19) Attorno a Cristo glorificato, i Dodici testimoniano la presenza del Regno già inaugurato e che sarà pienamente manifestato alla seconda venuta. Infatti, Cristo ha promesso loro di farli sedere su dodici troni per giudicare con il Figlio dell'uomo le dodici tribù di Israele (cfr. Mt 19,28).
(20) II ministero dei Dodici è unico e insostituibile, poiché essi sono testimoni storici di quanto il Signore ha compiuto. Ciò che essi hanno fondato è stato una volta per tutte e nessuno, in futuro, potrà costruire se non sulle fondamenta così gettate (cfr. Ef 2,20; Ap 21,14).
(21) Ma, nello stesso tempo, gli apostoli, nel perdurare dei secoli, restano le fondamenta della Chiesa, in modo che la missione che essi hanno ricevuto dal Signore resti sempre visibile e attiva, nell'attesa del ritorno del Signore.
(22) Perciò la Chiesa, nella quale opera la grazia di Dio, è per se stessa sacramento per eccellenza, manifestazione anticipata delle realtà ultime, primizia del regno di Dio, della gloria di Dio e Padre, dell'eschaton nella storia.
(23) Nel sacramento-Chiesa trova posto il sacerdozio, conferito con l'ordinazione, dato a favore della Chiesa. Infatti, esso costituisce, nelle Chiese, un ministero (leiturgêma) carismatico per eccellenza. Per lo Spirito santo e a servizio della vita e dell'esistenza continua della Chiesa, e cioè dell'unità; in Cristo, di tutti i fedeli, vivi e morti, dei martiri, dei santi, dei giusti dell'Antico Testamento.
III. Il ministero del vescovo, del presbitero e del diacono
(24) Nella celebrazione dell'eucaristia, "liturgo" della koinonia è l'intera assemblea, nella quale ognuno dei componenti ha un suo ruolo, ed e tale solo nello Spirito. "Vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore. (...) E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune" (1Cor 12,5.7). I diversi ministeri convergono nella sinassi eucaristica, nella celebrazione della quale sono conferiti. Tuttavia, la loro diversità è destinata all'insieme della vita della comunità: fedeltà alla parola di Dio, radicamento nella concordia e nella carità fraterna, testimonianza nei confronti di "coloro che sono fuori", crescita della santità, assiduità nella preghiera, sollecitudine per i poveri.
(25) Il ministero del vescovo, nell'insieme dei carismi e dei ministeri suscitati dallo Spirito, è un ministero di presidenza per radunare nell'unità, e culmina nella celebrazione dell'eucaristia, dove si compie l'iniziazione cristiana tramite la quale tutti diventano l'unico corpo di Cristo. Infatti, la Chiesa locale, espressione della varietà dei doni dello Spirito, ha al suo centro il vescovo, la comunione del quale realizza l'unità di tutti ed esprime la pienezza della Chiesa.
(26) L'unità della Chiesa locale è inseparabile dalla comunione universale delle Chiese. Per una Chiesa è essenziale essere in comunione con le altre. Questa comunione si realizza nel collegio episcopale e per suo tramite. Con l'ordinazione, il vescovo è costituito ministro di una Chiesa che egli rappresenta nella comunione universale.
(27) L'ordinazione episcopale, che, secondo i canoni, è conferita almeno da due o tre vescovi, esprime la comunione delle Chiese con quella dell'eletto: essa aggrega questi alla comunione dei vescovi. Nell'ordinazione i vescovi esercitano la loro funzione di testimoni della comunione nella fede apostolica e nella vita sacramentale, non solo nei confronti di colui che è ordinato, ma anche nei confronti della Chiesa di cui sarà vescovo. Ciò che è importante per l'incorporazione del nuovo eletto nella comunione episcopale, è che essa è compiuta dal Signore glorificato nella potenza dello Spirito santo al momento dell'imposizione delle mani.
Ora prendiamo in esame l'ordinazione sotto il suo aspetto sacramentale. I problemi sollevati dalla modalità dell'elezione saranno studiati più avanti.
(28) Per dono dello Spirito, l'ordinazione episcopale conferisce, a chi la riceve, la pienezza del sacerdozio. La concelebrazione dei vescovi, durante la consacrazione, esprime l'unità della Chiesa e la sua identità con la comunità apostolica. Impongono le mani e invocano lo Spirito santo sull'ordinando, quali unici abilitati a conferirgli il ministero episcopale. Lo fanno, tuttavia, in seno alla preghiera della comunità.
(29) Con l'ordinazione il vescovo riceve tutti i poteri necessari per compiere la sua funzione. La Commissione discuterà in seguito le condizioni canoniche dell'esercizio della sua funzione e l'installazione del vescovo nella Chiesa locale.
(30) Il dono conferito consacra l'ordinando al servizio della Chiesa, in modo definitivo. È un punto della dottrina tradizionale, sia in Oriente sia in Occidente, confermato dal fatto che, in caso di sanzioni disciplinari contro un vescovo, seguite dalla reintegrazione canonica, non si compie una nuova ordinazione. A questo proposito, come sugli altri punti essenziali concernenti l'ordinazione, le nostre Chiese hanno una dottrina e una pratica comune, anche se, riguardo a certe esigenze canoniche e disciplinari, quali il celibato, gli usi possono essere differenti per motivi pastorali e spirituali.
(31) Il ministero ecclesiale, tuttavia, si esercita attraverso una diversità di funzioni. Queste sono svolte nell'interdipendenza, nessuna potrebbe sostituirne un'altra. Ciò vale specialmente per i ministeri fondamentali del vescovo, del presbitero e del diacono, e per le funzioni dei laici, che, tutti insieme, strutturano la comunità eucaristica.
(32) In tutta la storia delle nostre Chiese le donne hanno svolto un ruolo fondamentale. Di questo, rendono testimonianza non solo la santissima Madre di Dio, le sante donne ricordate nel Nuovo Testamento e le numerose sante che noi veneriamo, ma anche tante altre donne che da sempre hanno servito nella Chiesa in mille maniere. I loro carismi specifici sono molto importanti nell'edificazione del corpo di Cristo. Ma le nostre Chiese restano fedeli alla tradizione storica e teologica, secondo la quale esse ordinano al ministero sacerdotale solo gli uomini.
(33) Come gli apostoli hanno radunato le prime comunità annunciando il Cristo, celebrando l'eucaristia, conducendo i battezzati verso una sempre maggior comunione con il Cristo e fra di loro, così il vescovo, costituito dall'unico Spirito, continua ad annunciare lo stesso evangelo, a presiedere la stessa eucaristia, a servire l'unità e la santificazione della stessa comunità. È quindi l'icona di Cristo servitore in mezzo ai suoi fratelli.
(34) Poiché è nell'eucaristia che la Chiesa si manifesta nella sua pienezza, così è nella presidenza dell'eucaristia che il ruolo del vescovo e del presbitero appaiono nella loro piena luce.
(35) Infatti, nella celebrazione dell'eucaristia i fedeli si offrono, con Cristo, come sacerdozio regale. Lo fanno grazie all'azione del ministero che rende presente in mezzo a essi il Cristo in persona, che annuncia loro la Parola e fa che il pane e il calice, per la forza dello Spirito, diventino il suo corpo e il suo sangue, incorporandoli a lui e donando loro la sua vita. Inoltre, la preghiera e l'offerta del popolo, incorporato a Cristo sono come ricapitolati nella preghiera di ringraziamento del vescovo e dalla sua offerta dei doni.
(36) L'eucaristia realizza così l'unità della comunità cristiana. Essa manifesta anche l'unione di tutte le Chiese che la celebrano nella verità e, ancor più, attraverso i secoli, l'unità di tutte le Chiese con la comunità apostolica dalle origini a oggi.
Nello Spirito, oltre la storia, essa raggiunge la grande assemblea degli apostoli, dei martiri e dei testimoni di tutti i tempi, riuniti attorno all'Agnello. Così l'eucaristia, azione centrale del ministero episcopale, attualizza il mondo futuro: la Chiesa radunata nella comunione, che si offre al Padre, per il Figlio, nello Spirito santo.
(37) Colui, quindi, che presiede all'eucaristia, assume la responsabilità di conservare la comunione nella fedeltà dell'insegnamento degli apostoli, e di guidarla alla nuova vita. È suo servo e pastore. Il vescovo è anche la guida di tutta la vita liturgica della sua Chiesa locale e, a suo esempio, essa diventa una comunità di preghiera. Presiede alla sua lode e alla sua intercessione, e lui stesso prega, incessantemente, per tutti coloro che il Signore gli ha affidato, sapendosi responsabile di ciascuno di loro davanti al tribunale di Dio.
(38) Gli compete pure di vigilare, affinché al suo popolo sia trasmesso, per mezzo della predicazione e della catechesi, il contenuto autentico della parola di Dio, consegnato agli apostoli "una volta per tutte". In pratica, è il responsabile primo dell'annuncio della parola di Dio nella sua diocesi.
(39) Tocca pure a lui coinvolgere il suo popolo nell'annuncio della salvezza in Gesù Cristo a tutti gli uomini e nella testimonianza che incarna questo annuncio. È suo compito, quindi, amministrare la sua Chiesa in modo che rimanga sempre fedele alla propria vocazione cristiana e alla missione che ne deriva. Tuttavia, resta un membro della Chiesa, chiamato alla santità e che dipende dal mistero salvifico della Chiesa, come sant'Agostino ricorda alla sua comunità: "per voi sono vescovo, con voi sono cristiano". Durante l’ordinazione, il vescovo fa sua, professandola solennemente, la fede della Chiesa intera e diventa così padre, nella misura in cui e diventato pienamente figlio nella confessione della stessa fede. È fondamentale che il vescovo sia il padre del suo popolo.
(40) Quali successori degli apostoli, i vescovi sono responsabili della comunione nella fede apostolica e della fedeltà alle esigenze di una vita secondo l’evangelo.
(41) Il ruolo del vescovo raggiunge il suo apice nella presidenza dell'assemblea eucaristica. I presbiteri formano il collegio che lo circonda durante tale celebrazione. Questi esercitano le responsabilità, che il vescovo affida loro, celebrando i sacramenti, insegnando la parola di Dio e governando la comunità in comunione profonda e continua con lui. Il diacono, invece, è addetto al servizio del vescovo e del presbitero e serve da tramite tra essi e l'assemblea dei fedeli.
(42) ll presbitero, ordinato dal vescovo e alle sue dipendenze, è inviato per svolgere compiti determinati. In modo particolare è inviato a una comunità parrocchiale per esserne il pastore: presiede, l'eucaristia all'altare (consacrato dal vescovo), è il ministro dei sacramenti per la comunità, annuncia l'evangelo e la catechesi, ha il compito di conservare l’unità dei carismi del popolo (laos) di Dio; si presenta come il ministro ordinario della comunità eucaristica locale, e la diocesi diventa comunione di comunità eucaristiche.
(43) Il diaconato è esercitato a servizio del vescovo e del presbitero nella liturgia, nell'evangelizzazione e nella diaconia della carità.
IV. La successione apostolica
(44) Il medesimo e unico ministero di Cristo e degli apostoli continua ad agire nella storia. Quest'azione, per mezzo dello Spirito, costituisce l'apertura al "mondo che viene", nella fedeltà a ciò che gli apostoli hanno trasmesso di quanto Gesù ha fatto e insegnato.
(45) L'importanza della successione deriva anche dal fatto che la tradizione apostolica riguarda non solo un individuo isolato, ordinato vescovo, ma la comunità. La successione apostolica si trasmette attraverso le Chiese locali ("in ogni città", secondo l'espressione di Egesippo; "in ragione della loro consanguineità di dottrina", secondo Tertulliano nella De Praescriptione 32,6). Si tratta della successione di persone nella comunità, infatti, l'una sancta è comunione di Chiese locali e non di individui isolati. In questo mistero della koinonia, l'episcopato appare come il fulcro della successione apostolica.
(46) Secondo quanto abbiamo affermato nel documento di Monaco, "la successione apostolica significa dunque più di una semplice trasmissione di poteri. È successione in una Chiesa, testimone della fede apostolica, in comunione con le altre Chiese, testimone della stessa fede apostolica. La sedes (la cattedra) ha un ruolo decisivo nell'inserimento di un vescovo nel cuore dell'apostolicità ecclesiale" (Il mistero della Chiesa e dell'eucaristia alla luce del mistero della santa Trinità 11,4). Precisiamo che qui il termine “cattedra” è utilizzato nel senso della presenza del vescovo in ciascuna Chiesa locale.
(47) "D'altra parte, una volta ordinato, il vescovo diviene nella sua Chiesa il garante dell'apostolicità, colui che la rappresenta nell'ambito della comunione delle Chiese, il suo legame con le altre Chiese. Per questo, nella sua Chiesa, nessuna eucaristia può essere celebrata veramente se non e presieduta da lui o da un presbitero che sia in comunione con lui. La menzione del suo nome nell'anafora e essenziale" (ibid.).
(48) "Il raccordo alla comunione apostolica collega l'insieme dei vescovi che assicurano la episkopé delle Chiese locali al collegio degli apostoli" (ibid. III,4). I vescovi sono quindi radicati nell'"una volta per tutte" del gruppo apostolico, per mezzo del quale lo Spirito santo testimonia la fede. Infatti, come fondamento della Chiesa, i Dodici sono unici. E tuttavia necessario che altri uomini rendano visibile la loro insostituibile presenza. In questo modo verrebbe assicurato il legame di ogni comunità sia con la comunità delle origini sia con la comunità escatologica.
(49) Con l'ordinazione, ogni vescovo diventa successore degli apostoli, qualunque sia la Chiesa che egli presiede o le prerogative (πρεβετα) di questa Chiesa fra le altre.
(50) Incorporato nel numero di coloro ai quali è stata affidata la particolare responsabilità del ministero di salvezza, e posto così nella successione apostolica, il vescovo deve trasmettere il loro insegnamento e deve assomigliare a loro in tutta la sua vita. Ireneo di Lione scrive: "Bisogna istruirsi nella verità, dove furono deposti i carismi di Dio, e cioè presso coloro nei quali si trovato la successione nella Chiesa a partire dagli apostoli, l'inoppugnabile integrità della condotta, e la purezza incorruttibile della parola" (Adv. haer. 4,26,5). Essere testimone nello Spirito e garante nella fede, strumento che la mantiene nella fedeltà apostolica, è una delle funzioni essenziali del vescovo nella sua Chiesa. La successione apostolica è anche successione negli impegni e nelle sofferenze degli apostoli al servizio dell'evangelo e nella difesa del popolo affidato a ogni vescovo. Secondo la parola della I lettera di san Pietro, la successione apostolica è anche una successione nella presenza di misericordia e di comprensione, di difesa dei deboli, di costante attenzione a coloro che gli sono stati affidati, di modo che il vescovo diventi modello del gregge (cfr. 1Pt 5,1-4; 2Cor 4,8-11; 1Tm 4,12; Tt 2,7).
(51) Fa parte, inoltre, del ministero episcopale articolare e organizzare la vita della Chiesa con i suoi servizi e le sue mansioni. Gli compete anche di vegliare sulla scelta di quelli e di quelle che dovranno esercitare responsabilità nella sua diocesi. La comunione fraterna esige che tutti i membri, ministri o laici, si ascoltino vicendevolmente per il bene del popolo di Dio.
(52) Sia in Oriente sia in Occidente, nel corso della storia, la Chiesa ha conosciuto forme diverse nell'esercizio della comunione fra i vescovi: scambi epistolari, visite di una Chiesa all'altra, ma soprattutto il sinodo o il concilio. Fin dai primi secoli si è instaurata una distinzione e una gerarchia fra le Chiese di più antica o di più recente fondazione, tra Chiese madri e Chiese figlie, tra Chiese delle città maggiori e Chiese più periferiche. Questa gerarchia o taxis ha trovato, assai presto, la sua espressione canonica, formulata dai concili, in particolare nei canoni che furono accolti dall'insieme delle Chiese d'Oriente e di Occidente. Sono anzitutto, in primo luogo, i canoni 6 e 7 del I concilio di Nicea (325), il canone 3 del I concilio di Costantinopoli (II concilio ecumenico, 381), il canone 28 di Calcedonia (IV ecumenico, 451), come pure i canoni 3, 4 e 5 di Sardica (343) e il primo canone del concilio di Santa Sofia (879-880). Anche se questi canoni non sono sempre stati interpretati nella stessa maniera in Oriente e in Occidente, essi appartengono al patrimonio della Chiesa. Essi hanno attribuito ai vescovi che occupavano certe sedi metropolitane o maggiori un posto e prerogative riconosciuti nell'organizzazione della vita sinodale della Chiesa. Così si è formata la pentarchia: Roma, Costantipoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, anche se, nel corso della storia, altri arcivescovi, metropoliti, primati e patriarchi sono apparsi al di fuori della pentarchia.
(53) Il sinodale dell'azione dei vescovi si manifestava soprattutto nelle questioni dibattute che interessavano più Chiese locali o l'insieme delle Chiese. Così, in ogni regione sono stati organizzati diversi tipi di sinodi o di concili locali o regionali e di conferenze di vescovi. Le loro forme sono mutate, secondo i luoghi e le epoche, ma il loro principio resta quello di manifestare e di rendere efficiente la vita della Chiesa, tramite l'azione congiunta dei vescovi sotto la presidenza di colui che riconoscono come il primus inter pares. Infatti, secondo il canone 34 degli apostoli, presente nella tradizione canonica delle nostre Chiese, il primo dei vescovi non decide che in accordo con gli altri vescovi e questi non decidono nulla di importante senza l’accordo del primo.
(54) Nei concili ecumenici, riuniti dallo Spirito santo in situazioni di crisi, i vescovi della Chiesa, con suprema autorità hanno deciso in comune quanto alla fede e dettato i canoni per affermare la tradizione degli apostoli in circostanze storiche che minacciavano direttamente la fede, l'unità e l'opera di santificazione di tutto il popolo di Dio, e che mettevano in causa l'esistenza stessa della Chiesa, e la fedeltà al suo fondatore Gesù Cristo.
(55) È in questa prospettiva della comunione fra le Chiese locali che ci si potrebbe accostare al tema del primato nell'insieme della Chiesa e in particolare a quello del primato del vescovo di Roma, che costituisce una divergenza grave fra noi che sarà discusso in seguito.